Nasce il Cinema VR: primi problemi e opportunità

Screenshot dal corto Henry, prodotto da Oculus Story Stdio

Cimentarsi nella narrazione attraverso un meda nuovo è lavorare da esploratore, tenere conto dei vincoli tecnici e spesso costruire strumenti propri per arrivare ai propri obiettivi. 

Come a loro tempo fecero i pionieri del cinema, anche gli autori VR si trovano in una situazione sfidante e creativa, alle prese tra nuove prospettive spazio-temporali per trasmettere i contenuti della loro narrazione, problemi di azioni simultanee, locomozione, transizioni, montaggio e così via. Tutto va ripensato, tutto va riletto e reinterpretato.

La scelta dei primi film VR di utilizzare un unico piano sequenza di ripresa può sembrare fuori tempo rispetto ai film dal montaggio sempre più serrato a cui siamo abituati oggi, come l’utilizzo di una sola location filmata in real time, ma dobbiamo ricordarci che queste restrizioni tecniche erano all’origine del giorno nel lavoro dei primi registi, in primis Méliès. Dal 1895 Méliès rimane ossessionato dal nuovo medium del cinema e da mago decide di diventare regista, spende un anno per costruire una sua telecamera, elabora una dozzina di tecniche cinematografiche e uno studio e con un team di produzione, produce 500 corti cinematografici caratterizzati da tanta creatività. Nel cinema come lo conosciamo oggi sembra tutto facile, ma ogni piccolo dettaglio è stata una grande conquista dei registi, degli operatori e degli sceneggiatori del passato contro le limitazioni del medium. Sarà così anche per il cinema in realtá virtuale.

Screenshot di L'homme à la tête de caoutchouc , Méliès
L’homme à la tête de caoutchouc, George Méliès

I tagli di montaggio, il montaggio incrociato, le dissolvenze sono nate solo grazie a pionieri come James Williamson e Robert Paul, come le carrellate sono state usate per la prima volta solo nel 1912 nel film Cabria di Giovanni Pastore, o ancora per l’uso dello zoom è stata necessaria l’intuizione del regista Clarence Badger a fine anni 20, tecnica che è diventata mainstream solo negli anni 60 con la New Wave francese.  

Il cinema VR sembra tornare indietro, basti guardare ai primi corti realizzati da Oculus Story Studio: Lost e Henry, girati entrambi in una singola scena, in una sola location e in real-time. 

Diretto dal regista di The Blue Umbrella di Pixar, Lost 360 è la storia di una mano meccanica gigante che cerca il robot a cui appartiene, in una foresta di notte. Come primo corto commerciale di Oculus Story Studio, Lost è stato anche uno dei primi corti per cui Gear VR ha dovuto risolvere i problemi del posizionamento dello spettatore nello spazio, ma nonostante questo riesce a mantenere i momenti chiave della narrazione, tutto ciò che è necessario per godersi l’esperienza è il movimento della testa. 

Screenshot da Lost 360, Oculus Story Studio
Lost 360, Oculus Story Studio

Nonostante tutti i problemi del caso, già il secondo corto ufficiale, Henry, è stato il primo lavoro di Oculus a vincere un Emmy nel 2016, come Oustanding Original Interactive Program. La narrazione questa volta ha come protagonista il riccio Henry che festeggia il suo compleanno. In questo caso la narrazione è un po’ già complessa ed emozionale di Lost, abbiamo una voce narrante che racconta la storia del protagonista all’inizio del film: il simpatico riccio non riesce ad avere amici a causa delle se spine, si ritrova quindi solo il giorno del suo compleanno, contenuto della narrazione sono quindi la solitudine e il valore dell’amicizia. Il direttore Ramiro Lopez Dau ha dichiarato che il premio ha un rande valore per gli autori della narrazione VR, e che il film è solo un piccolo passo per il lungo viaggio che il medium sta intraprendendo.

In verità è il primo passo verso il riconoscimento mondiale per Oculus, non per il VR in generale, in quanto dobbiamo ricordare che l’anno scorso è stata la casa di produzione Secret Location a vincere la categoria Emmy User Experience and Visual Design col loro Sleepy Hollow Virtual Reality Experience.  

Le limitazioni del medium appaiono comunque ancora evidenti: zoom, punto di vista imposto dal regista, close-up; gli autori del cinema VR hanno un accesso molto limitato a queste tecniche, anzi, si rischia spesso di sfasare la percezione dello spettatore nello spazio, fino ad arrivare a incutere nausea. 

Il Cinema VR può sembrare un mezzo molto limitato già dalla sua nascita, ma lo stesso è successo ai primi autori del cinema tradizionale, e la storia ci insegna che le limitazioni possono diventare una grande punto di forza per la creazione, possiamo ammettere che siamo solo all’inizio di una grande evoluzione.

Fonti:
https://www.oculus.com
https://www.theverge.com
https://www.wired.com
https://vrscout.com
https://www.discogs.com