Non tutte le persone riescono a utilizzare immediatamente interfacce multisensoriali complesse. Come devono essere create le interfacce multisensoriali?
Abbiamo parlato tanto della realtà virtuale e dei suoi usi nella “realtà reale”, sappiamo che si sta evolvendo molto velocemente, ma oggi, e possiamo presumere anche nel nostro futuro più prossimo, è difficile incontrare casi di utilizzo di realtà virtuale pura nella quotidianità, mentre è molto più facile individuare e ipotizzare utilizzi di realtà virtuale mista in senso lato.
Ciò che si definisce Mixed Reality, che ad esempio accosta alla Realtà Virtuale la Realtà Aumentata, in continuo sviluppo con il panorama dei device di consumo.
Certo, siamo lontani dalle interfacce futuristiche che vediamo nei film di fantascienza al cinema, ma, dato che la tecnologia reale si sta evolvendo, come interagiranno davvero le persone nella loro nuova vita digitale?
Dopo tanti flop, Google Glass in primis, e il perdurare dei problemi di cinetosi che abbiamo affrontato, vi è una ovvia mancanza di convergenza tra i modelli delle interfacce multisensoriali per il virtuale e una pratica di interazione con esse che superi l’uso in laboratorio e il target nerd. Va considerato che le potenzialità delle tecnologie non sempre raggiungono una facilità d’uso, e spesso necessitano una fase di apprendimento e quindi uno sforzo che nel mondo consumer è un ostacolo alla loro diffusione.
Non tutte le persone riescono a utilizzare immediatamente interfacce multisensoriali complesse.
Peraltro ciò è vero anche nella vita reale: imparare ad andare in bicicletta implica un certo impegno multisensoriale, e solo una volta che si è acquisito l’equilibrio, diventa una attività naturale. Per evitare sforzi e tempi di apprendimento nella realtà virtuale, è fondamentale riferirsi a comportamenti estremamente naturali, o già appresi nella esperienza multisensoriale quotidiana.
Nella nostra vita acquisiamo quotidianamente conoscenze multisensoriali e capacità per migliorare la nostra interazione con lo spazio. Come dice il designer d’interfacce digitali Bret Victor, manipolando strumenti che possano rispondere ai nostri bisogni, possiamo amplificare le nostre capacità; è un concetto vecchio e sviluppato dallo stesso Marshal Mcluhan, ma sembra che molto spesso i designer del virtuale se ne dimentichino. Usiamo ogni giorno strumenti come lo smartphone, così tanto da rendere questi strumenti artificiali naturali. Questi “oggetti” hanno un design dalla interazione efficace perché rispondono a ciò che gli esperti chiamano “Natural User Interfaces”, che sembrano invisibili agli utenti e lo rimangono anche quando impariamo ad usarli.
In sostanza quando la tecnologia diventa invisibile su tutti i livelli, percettivamente e cognitivamente, l’interazione diviene naturale e spontanea.
Esempi di ciò di cui stiamo parlando sono il riconoscimento vocale, la manipolazione diretta dell’interfaccia e la gestualità.
Diventa essenziale analizzare l’esperienza dell’utente e l’estetica delle interfacce in Mixed Reality per limitare i possibili danni e migliorare l’esperienza interattiva. Questo è ciò che ha fatto ad esempio il designer Ben Frankforter, che condivide le sue idee con la comunità web con l’obiettivo di incoraggiare altri progettisti a fare lo stesso.
La prima cosa da fare è sicuramente guardare alle interazioni quotidiane che ci appaiono più naturali. Ad esempio Ben Frankforter ci ci suggerisce di guardare a come sfogliamo una rivista. Questo tipo di interazione è interessante a causa della manipolazione diretta delle pagine e anche della percezione di un processo durante la lettura.
Un’altra metafora interessante è quella della carte da gioco, da applicare alle Applicazioni: le app possono disposti in pile sotto il punto di vista dell’utente, che “sfogliandole” come carte da gioco può scegliere l’applicazione che desidera utilizzare. Rispetto alla realtà, nel virtuale le “app-carte” possono crescere di varie dimensioni a partire da un dispositivo virtuale come un tablet o uno smartphone.
Interessante è anche la soluzione che offre il designer per passare da una app all’altra che, ispirandosi alle ricerche di Chris Harrison, si basa su semplici gesti del pollice per navigare sui device. Oggi possiamo eseguire queste operazioni molto facilmente, anche ad occhi chiusi, grazie a due fattori: la propriocezione (la consapevolezza della posizione e del peso delle nostre parti del corpo) e feedback tattili (il contatto e l’attrito del device sulla pelle).
Insomma, lo scenario aperto dal Design delle interfacce multisensoriali appare di grande interesse antropologico, in quanto rimette in gioco il modo in cui il nostro corpo interagisce con il mondo e gli oggetti che ci circondano, sviluppando nuove esperienze.
Fonti: https://www.roadtovr.com https://unity3d.com https://medium.com https://www.smashingmagazine.com